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Le mappe concettuali nella consulenza psicologica
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Le mappe concettuali nella consulenza psicologica

“Le mappe concettuali sono modalità gerarchizzate di rappresentazione della conoscenza che si basano su due elementi: i nodi, che rappresentano i fatti della conoscenza, e le connessioni tra i nodi che invece rappresentano le maniere in cui è logicamente possibile connettere più nodi della mappa in sottoinsiemi razionalmente validi.”

In psicologia clinica, le mappe concettuali possono essere applicate sia astrattamente, nella descrizione degli aspetti cognitivi, emotivi e comportamentali dei disturbi mentali in sé, sia in concreto per l’analisi dettagliata del repertorio cognitivo-comportamentale di uno specifico cliente/paziente.

È evidente che, da tale definizione, deriva un’utile modalità di approccio alla consulenza psicologica qualora, grazie alla ricerca clinica, sia possibile ottenere mappe concettuali valide e attendibili delle più diverse condizioni di sofferenza psicologica. Infatti, se è vero che nella consulenza l’aspetto principale deve essere quello del sostegno e dell’ascolto attivo (uniche funzioni dello psicologo che facilitano effettivamente il cambiamento nel cliente/paziente), è anche vero che per evitare che il professionista si limiti ad accogliere una domanda di intervento senza poi suggerire concreti spunti di cambiamento, è altrettanto necessario che egli possieda e trasmetta al cliente/paziente una concettualizzazione adeguata del suo problema. Solo così è possibile a quest’ultimo orientare le proprie capacità di fronteggiamento alla risoluzione del problema e/o alla gestione delle emozioni negative che ne derivano. In altre parole, poiché le mappe concettuali in psicologia clinica rappresentano problemi ben definiti in termini di comportamenti deficitari o eccessivi nel repertorio del cliente, esse consentono di proporre un intervento che migliora la qualità della vita del paziente senza l’assoluta necessità di una ristrutturazione profonda della sua personalità.

Da una concettualizzazione efficace di un problema psicologico, derivano vantaggi specifici e in particolare:

  • Una nuova struttura globale di significato, che il cliente/paziente può utilizzare per raccontare a se stesso il problema in una maniera più funzionale e connetterlo cognitivamente ad altre conoscenze implicite sul proprio Sé. È chiaro infatti che, se per esempio una persona soffre di fobia sociale, descrivere il problema in termini di scarsa autostima e abilità sociali inefficaci, piuttosto che in termini di “disvalore” personale o di “timidezza”, facilita l’individuazione degli interventi minimi indispensabili per il cambiamento.
  • Il professionista può organizzare un lavoro di sostegno orientato a obiettivi a medio e lungo termine. Una volta costruita l’alleanza terapeutica, e ottenuto il consenso del cliente sulla struttura di significato, il professionista può strutturare pragmaticamente un lavoro a tempo (flessibilmente) determinato dove gli obiettivi di cambiamento sono palesi perché consistono nei nodi della mappa concettuale. Ciò tra l’altro consente sia a lui che al cliente/paziente di valutare in itinere l’efficacia del cambiamento.

Per riprendere l’esempio della fobia sociale, è possibile definire questo disturbo come una abnorme reazione di ansia di fronte a persone conosciute o sconosciute, che è motivata da un lato da considerazioni automatiche di natura auto-dispregiativa che la persona rimugina continuamente su di sé, e dall’altro dal timore irrazionale che gli altri siano perfettamente vigili e consapevoli dei segni di “debolezza psicologica” dell’altro e pronti ad approfittarne. In questi termini, è possibile elaborare una mappa concettuale della fobia sociale [scarica l’esempio]
Ad ogni nodo o elemento del problema, può corrispondere una o più strategie di intervento da proporre al cliente come percorso di cambiamento comportamentale. Dopo che la relazione terapeutica si è consolidata, il professionista può assumere un ruolo maggiormente direttivo e incoraggiare il cliente a sperimentarsi in una gamma di situazioni temute, naturalmente dalla più semplice alla più complessa, da un lato per ampliare il proprio repertorio comportamentale e dall’altro per smentire gli assunti cognitivi che sostengono il disturbo.

Un aspetto da tenere in grande considerazione è il lavoro che il professionista deve svolgere sulle strutture di significato del cliente riguardo al proprio disturbo. Se infatti una mappa concettuale della fobia sociale può rivelarsi utile in modo trasversale per i clienti più diversi in termini di struttura di personalità, è pur vero che per rispettare ciascuna singola individualità è sempre opportuno riannodare ciascun nodo teorico agli specifici costrutti ed esperienze del cliente che le tecniche di ascolto attivo avranno fatto emergere in precedenza. Per ottenere un consenso pieno e convinto al progetto di cambiamento, è necessario che lo psicologo ricostruisca la storia soggettiva di come il cliente è giunto ad esprimere il disturbo, e ancor più necessario è che il linguaggio del cliente sia quello con cui gli aspetti teorici del problema vengono tradotti in consigli pratici.

Per concludere, la consulenza psicologica che si avvale dell’ascolto attivo e delle mappe concettuali si può considerare la piena espressione del mandato riservato allo psicologo dalla legge 56/89, che all’articolo 1 recita testualmente: “La professione di psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, e le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali ed alle comunità.” Se la funzione dello psicologo è quella di portare l’utenza a una migliore consapevolezza dei problemi e delle proprie risorse per risolverli, allora le mappe concettuali appaiono come uno strumento indispensabile dello psicologo nei diversi contesti in cui si trova a operare.

Autore: Dott. Marco Aversano

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