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Counseling psicologico con l’adolescente
Counseling psicologico con l'adolescente
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Counseling psicologico con l'adolescente

L’adolescenza è un momento molto particolare nella vita di una persona, poiché porta con sé un grande cambiamento dal punto di vista fisico ma anche emotivo, psicologico e sociale.
Durante l’adolescenza si completa la maturazione fisica e sessuale, si acquisisce uno stato di adulto e si raggiunge il pieno sviluppo cognitivo.

L’adolescente perde così il suo stato di bambino non essendo però di fatto ancora neanche un adulto e rimane in bilico tra la sua impetuosa esigenza di autonomia e il suo forte bisogno di dipendenza. Di fronte alle contraddizioni sperimentate, l’adolescente può trovarsi a vivere diverse problematiche, come ad esempio l‘utilizzo di droghe e/o alcool e il calo di motivazione allo studio. I genitori e gli insegnanti sono spesso spaventati da questo e non di rado si rivolgono ad una figura professionale in cerca di aiuto e sostegno. Può capitare che l’adolescente si presenti all’attenzione di uno psicologo da solo o accompagnato da un coetaneo. In tutti questi casi, il primo grande compito dello psicologo è quello di comprendere chi è il vero committente e chi ha davvero bisogno del suo aiuto.

Il primo colloquio dovrà essere condotto in presenza sia dell’adolescente che dei genitori, obbligatoriamente se si tratta di un minore. In seguito, a seconda delle necessità cliniche, si potranno condurre dei colloqui rivolti all’ adolescente e dei colloqui rivolti ai genitori, facendo un piano specifico degli incontri in base alla situazione. In tali occasioni si dovranno raccogliere tutte le informazioni utili, ascoltando i diversi protagonisti. Gli obiettivi specifici andranno concordati con entrambe le parti in causa e le regole del setting dovranno essere chiare rispetto alle modalità di comunicazione al di fuori della seduta e di presa dell’appuntamento. Durante l’intero percorso di consulenza, è opportuno che il professionista si sinceri di tutelare entrambe le alleanze sforzandosi di apparire il più neutrale possibile.

Bisogna tenere ben presente che spesso i genitori ricercano, attraverso ciò che vedono nei figli, lo specchio di se stessi. Quando guardando i propri figli non si riconoscono, si sentono fortemente disorientati e possono tendere guardare il figlio come strano. Al genitore bisognerà fornire un approccio metodologico e non di contenuto. Alla richiesta “Voglio che mio figlio diventi…”, lo psicologo dovrà chiarire fin da subito che non ha potere nell’influenzare la direzione del carattere del ragazzo. A volte si possono aiutare gli adolescenti semplicemente supportando le figure di riferimento a comprenderli, conoscerli, capirli. Se si collude con la prima richiesta del genitore si perde la possibilità di aiutarli in questa prospettiva.

Altro elemento di fondamentale importanza nel lavoro con l’adolescente è quello di sondarne la motivazione. Nel caso in cui sia stato inviato o portato dai genitori bisogna indagare se lui il problema lo vede, se lo sente o lo percepisce come tale, che esperienza egli sta facendo di sé e di sé rispetto al mondo. L’obiettivo principale del counseling psicologico rivolto agli adolescenti è quello di fornire degli strumenti idonei ai ragazzi, che stanno compiendo i loro compiti legati allo sviluppo, affinché possano fronteggiare eventuali difficoltà legate alla loro crescita e al loro inserimento nella realtà sociale, educativa e lavorativa. Allo stesso modo è possibile aiutare i genitori a comprendere e a supportare i ragazzi rispetto a tali compiti di sviluppo. C’è ovviamente da considerare che un adolescente si trova spesso a sperimentare una grande incostanza in ciò che pensa e in ciò che dice.

Tipiche sono le frasi “Lei è la persona più importante per me… non ce ne saranno altre“, “Se non risolvo questa cosa ora sono morta”, “Se risolvo questa cosa sono la persona più felice di questo mondo e lo sarò per sempre”. Tali affermazioni non sono bugie, ma un vissuto di tutto o niente e realtà assoluta che caratterizzano l’adolescente; è essenziale, in tal senso, riconoscergli il diritto di provare e vivere sensazioni diverse e cambiamenti repentini. Altro passaggio è cercare di conoscere la natura del problema portato dal ragazzo. A volte non si sono verificati eventi particolarmente gravi, ma il compito evolutivo di scoperta di sé lo porta a percepire o manifestare uno stato di disagio. In adolescenza, infatti, si sviluppano spesso difficoltà senza un apparente motivo e si rifanno avanti situazioni passate che sembravano non aver avuto un grande impatto emotivo nel giovane. Questo succede perché il suo sviluppo cognitivo sta aumentando e comincia a sperimentare nuovi modi di reagire.

I motivi più frequenti per i quali l’adolescente si reca da uno psicologo sono:

  • manifestazioni ansiose,
  • senso diffuso di insoddisfazione (non essere al posto giusto)
  • cattivo rapporto con la propria immagine
  • timidezza
  • problemi legati all’autostima e al rapporto con gli altri,
  • problematiche nella sfera alimentare,
  • problematiche di tipo sessuale,
  • prime esperienze di coppia o di amicizia,
  • conflitti familiari,
  • forti difficoltà scolastiche.

 

Ovviamente a questi si aggiungono situazioni più estreme legate al contesto relazionale, come ad esempio il bullismo e il cyber bullismo (che tuttavia spesso non vengono denunciati direttamente da chi li subisce), e possibili disturbi  della personalità per il cui trattamento è tuttavia necessaria la competenza terapeutica.

L’intervento ha maggiori probabilità di essere efficace se sa andare oltre la focalizzazione solo sui sintomi. Molti studi clinici, infatti, dimostrano che il lavoro con l’adolescente si fa carico anche dei problemi relazionali sia per quanto riguarda il confronto con i genitori che per quanto riguarda le prime relazioni importanti extra-familiari. L’adolescente dovrà essere aiutato nel cogliere il suo vissuto attuale, affinché possa più facilmente esplorare e sperimentare riflettendo in modalità protetta e sotto la guida dello psicologo, su come si sta rapportando al mondo. Una parte dell’intervento di counseling si configura anche come intervento di tipo psicoeducativo, con l’accortezza però di non fornire consigli o ricette pronte all’uso.

Nel caso degli adolescenti, anzi, è molto importante un lavoro di supporto nell’aiutarli ad acquisire la modalità più corretta di trovare le informazioni di cui hanno o potranno aver bisogno, stimolando in loro una curiosità. Ai fini di creare un rapporto di fiducia e alleanza, il professionista potrà raccogliere quante più informazioni possibili rispetto a passioni e interessi dell’adolescente ed utilizzarle in seduta come strumento tarato per lui. A tal proposito risulta di grande utilità l’utilizzo di strumenti creativi e pratici. Rispetto all’uso delle tecniche psico-corporee, invece, bisogna ricordare che queste potrebbero essere a forte impatto soprattutto in quanto il corpo durante l’adolescenza è già molto sollecitato dal cambiamento. L’uso degli strumenti strategici e cognitivi ben si presta purché ben calibrati rispetto alle risorse cognitive del ragazzo. Per uno psicologo che si approccia al lavoro con l’adolescente, è di fondamentale importanza possedere alcune abilità. Ad esempio, è necessario che egli sia flessibile ed elastico, pur rimanendo un punto fermo per il ragazzo. Dovrà inoltre lavorare in ottica preventiva ed avere a portata di mano una rete di riferimento e un’eterogeneo network professionale per la variegata tipologia di problematiche che possono caratterizzare la fase dell’adolescenza. Il professionista deve chiarire con se stesso che cosa pensa rispetto all’adolescente di oggi e come se lo rappresenta, deve saper usare un linguaggio non troppo tecnico, ma neanche troppo gergale che aiuti l’adolescente ad esprimersi serenamente e, infine, deve fare attenzione a non esprimere giudizi, ma piuttosto mostrare interesse ed avere un atteggiamento empatico e di apertura. Un altro elemento importante è andare oltre all’apparenza ed esplorare cosa c’è dietro ad un comportamento manifesto, che talvolta può essere espressione di un bisogno di cui l’adolescente si sta occupando, come ad esempio, il bisogno di appartenenza ad un gruppo, che riporta al suo compito evolutivo di ricerca dell’identità. Inoltre, dovrà conoscere il mondo dell’adolescente di oggi ed essere informato rispetto agli strumenti comunicativi e le “mode” del momento soprattutto quelle che possono impattare la vita del cliente sia a livello pratico che emotivo. Se l’adolescente sentirà di avere di fronte un adulto che non conosce il suo mondo, difficilmente riuscirà a sviluppare l’alleanza necessaria per poter lavorare funzionalmente all’interno del percorso psicologico.

Solitamente, i percorsi di counseling psicologico con gli adolescenti non hanno tempi molto lunghi; l’obiettivo è quello di aiutarli a scoprire delle capacità per poi farli “volare” da soli nella scoperta di sé.
Chiudere il percorso di consulenza, sia cognitivamente che emotivamente, permette di fare il punto di quanto fatto, renderne consapevoli tutti i protagonisti, sapere cosa si portano via e quali passaggi sono stati compiuti. Nelle fasi di chiusura, può essere utile dedicare uno o due incontri ripercorrendo i momenti significativi che hanno caratterizzato il percorso, rendendoli “concreti” attraverso un’immagine, un disegno o una canzone. La fase di chiusura e i successivi follow up si ritengono utili per concretizzare il lavoro svolto e fare in modo che non rimanga aleatorio.

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